La candidatura di Juan Carlos De Martin a Rettore del Politecnico di Torino mi sembra una bella occasione, per il nostro ateneo e per la nostra città e, facendo riferimento al campo delineato dal Manifesto PolitecnicoFuturo, anche per il sistema universitario italiano. L’occasione cioè di guardare oltre rispetto alla chiusura in cui sembra essersi rinchiusa la riflessione, il pensiero, la discussione nelle università, in Italia e probabilmente non solo. Da luoghi (necessari) di riflessione e dibattito, di passione e pensiero critico (quello che, almeno, si rifiuta di dare le cose per scontate), a luoghi apparentemente asettici e ‘neutri’ in cui l’attività è ridotta a contare crediti, debiti, numero di pubblicazioni e progetti, contratti e finanziamenti. Tutte cose importanti, certo. Ma che, se prese da sole, disegnano un orizzonte troppo piccolo e angusto, noioso e irrilevante. Un orizzonte che invece potrebbe essere (forse dovrebbe essere) piano piano forzato e allargato anche per recuperare il rispetto e il piacere del nostro lavoro (bellissimo in sé), l’orgoglio di essere parte di qualcosa che ha senso non solo per riprodurre noi stessi, ma per quanto siamo in grado di dire e fare per i nostri studenti e le nostre studentesse così come per quell’entità un po’ astratta, ma in realtà vitale, che è lo studio, il dibattito nei diversi campi e nel loro insieme, la conoscenza e il fare.
Ma è anche un’occasione per provare a guardare oltre rispetto alla situazione difficile in cui siamo, noi come tutto il mondo, stretti fra i lasciti della pandemia, le guerre e le tensioni internazionali, il cambiamento climatico. Sono fenomeni e questioni ‘esterni’ a noi, ma che per tante ragioni ci riguardano. Ci riguardano come cittadini e cittadine e ci riguardano come ricercatori e ricercatrici: riguardano i nostri studi, le nostre ricerche, le nostre competenze. Riguardano l’intreccio delle ‘tre culture’ – i saperi tecnici, le scienze sociali, le scienze umane – che connotano il Politecnico, un ateneo che è diventato nei fatti un po’ meno tecnico o che, forse, sta semplicemente muovendosi verso una rilettura delle radici migliori del sapere politecnico, spesso nascoste da una visione ciecamente tecnocratica della tecnica. Di nuovo: possibilità e responsabilità di alimentare queste radici, di ridefinirle e discuterle, di metterle continuamente alla prova nelle pratiche quotidiane del nostro fare, e non solo entro il campo dell’eccezione, della sperimentazione o, peggio, della stravaganza.
Ma le questioni e i fenomeni che caratterizzano i tempi difficili in cui siamo ci riguardano anche perché riguardano da vicino (vicinissimo) i nostri studenti e le nostre studentesse, i tanti ragazzi e le tante ragazze che frequentano le nostre aule per tutto il loro percorso di formazione o solo per qualche mese. Studenti e studentesse che sono di Torino o arrivano dalla Sicilia, da Beirut o da Mosca, da Pechino o da Kiev. Non è importante da dove arrivino né per quanto. Abbiamo la responsabilità, oltre che il grandissimo privilegio, di essere per loro un luogo sicuro, sereno, serio. E abbiamo la possibilità e la responsabilità di chiederci come esserlo, cosa e come possiamo insegnare per aiutarli a inventare e costruire il loro futuro, quando il futuro sembra oggi un posto difficile e senz’altro più ignoto di quello che possiamo immaginare.
La candidatura di Juan Carlos De Martin è, o mi piacerebbe fosse, una candidatura che assume insieme la possibilità e la responsabilità di guardare oltre noi stessi, di confrontarci con e nel mondo, di provare ad affinare uno sguardo lungo che superi le contingenze difficili e incerte per cambiare e invertire, anche di un infinitesimo di grado, la rotta della certezza, intercettare vie di fuga, assumere il dubbio come un dato e una possibilità di cambiamento. La possibilità e la responsabilità di pensare al Politecnico come un ateneo dove arrivano e partono persone e intelligenze, che non si chiude su se stesso né negli orizzonti e nei confini, anche fisici, in cui siamo. La ricerca e le idee, almeno loro, non hanno (non possono avere) limiti e confini, ma sono e devono essere mobili, aperte, viaggiare tra luoghi diversi, ibridarsi. La possibilità e la responsabilità di pensare a un Politecnico che non sa le risposte, perché le domande non ci sono, non sono certe né date, ma vanno costruite con pazienza e rispetto, negoziando tra ruoli e competenze. Un Politecnico che quindi ricerca davvero, che insegna il pensiero e il piacere dello studio, che domanda e chiede. Prima di tutto a noi. Che abbiamo questa possibilità e questa responsabilità. E questo privilegio.

Francesca Governa
Francesca Governa è una geografa urbana ed è professoressa ordinaria di geografia politica ed economica al Politecnico di Torino.