Quando l’amico Juan Carlos mi informò di essersi candidato alla carica di Rettore del Politecnico di Torino, ne fui felice. Ero curioso di cosa avrebbe scritto nel Manifesto. Quando facevo il CEO ero un fissato nel definire la mission, per me il momento più alto per chi fa management.

Chiaramente cosa diversa è un’Università o un Politecnico dove il respiro dev’essere più vasto, ed articolarsi in un “Manifesto”, negli “Obiettivi”, nella “Strategia” per perseguirli, soprattutto il momento che fa la differenza fra il successo e l’insuccesso, la fase “Execution”.

Permettetemi una digressione leggera, analcolica. Le Università americane, specie quelle piene di edera e con la puzza al naso, mi ricordano il magico mondo dei mocktail di cui non sapevo nulla, fermo com’ero ai banali cocktail della mia maturità cosmopolita. Il mocktail è il tipico sottoprodotto, al contempo del Ceo capitalism e dell’ambientalismo radicale. Un cocktail dove l’alcol lo paghi ma non c’è, però c’è il suo sapore, creato per imitazione dal barman, manipolando in modo acconcio erbe e spezie. Il Moscow Mule e il Bellini, scomparso l’alcol, sostituito dal suo sapore, sono “strutturati” con sola frutta. Il secondo con sfere di pesca, il primo con succo di lime e menta fresca. E così sono stati rivisitati tutti gli altri cocktail. Questi, liberatisi dalla schiavitù dell’alcol, sono diventati sciroppo dipendenti. Andate a Ginevra da Mr. Barber , il tempio dei mocktail, qua si trova il mitico Oseille de Guinée, sciroppo di tamarindo, zenzero fresco spremuto, limonata, confettura d’ibisco e, indispensabile, una goccia di acqua gasata Perrier. Siete maturi per entrare nel tabernacolo del mondo afrodisiaco politico-vegetale. Qua si capisce come il mocktail sia il fil rouge che mancava per trasformare, in termini culturali, la cena in un rito sacerdotale, dove chef pluristellati e clienti cosmopoliti, mischiano i loro ruoli e diventano artisti del gusto visivo. Al centro c’è l’impiattamento e il cibo si fa natura morta. I veri gourmet 2.0 ormai il piatto si limitano ad osservarlo, le posate restano intonse, si comportano come i critici d’arte davanti a un’opera di Jeff Koons, mentre si centellinano l’Oseille de Guinée, e, pensosi, commentano il piatto. Siamo nel mondo liquido del Ceo capitalism, destrutturato, vegetale, analcolico.

Nulla di tutto questo nel Manifesto “Politecnico Futuro”, solo contenuti. Ho in particolare apprezzato il Punto 7 con un titolo di tre sole parole: Persone, Cittadini, Lavoratori. Sono certo che Juan Carlos intenda declinarlo così: 1 Persone deve essere seguita sempre e solo dall’aggettivo “perbene”. 2 Cittadini è esattamente l’opposto di “consumatori”, come alcuni ci vorrebbero ridurre. 3 Lavoratori, intesi come amanti del lavoro, quindi della loro realizzazione, non certo del “posto di lavoro”.

Mi auguro che questo Manifesto, dove l’aspetto politico-markettaro è assente, sia valutato per i suoi contenuti. Auguri di cuore all’amico Juan Carlos.

Riccardo Ruggeri
Riccardo Ruggeri

Riccardo Ruggeri (1934) si considera un ex di professione. Ex balbuziente, ex operaio, ex travet, ex manager, ex Ceo di multinazionali, ex consulente internazionale di business, ex fondatore di start up, ex imprenditore. Da sedici anni legge, riflette, scrive, viaggia, per cercare di capire in quale mondo vivranno i suoi amati nipoti. Finora non c’è riuscito.