La candidatura di Juan Carlos De Martin a Rettore del Politecnico di Torino è, a mio avviso, un’opportunità inedita, per almeno due ragioni.

La prima ragione è nel metodo. De Martin si candida sulla base di un sostegno estremamente trasversale e spontaneo, all’interno di questo Ateneo. Tanto che la sua può considerarsi una candidatura inattesa, che da un lato attinge a un’elaborazione collettiva in pieno divenire, dall’altro si costituisce sulla base di alcune posizioni molto chiare, riguardo a cosa possa diventare questo Politecnico nei prossimi anni. De Martin ha deciso di interpretare l’avvio di questa candidatura attraverso una serie fittissima di incontri con tutti gli abitanti dell’Ateneo, secondo una modalità che prende le mosse da una lunga serie di dialoghi uno a uno: impresa per molti versi titanica, ma che man mano ha chiarito, a sé e agli altri, il senso di questo suo impegno orientato a comporre una prospettiva di azione condivisa. Nelle discussioni a cui ho partecipato ho visto una persona in ascolto, che prendeva una grande quantità di appunti e riusciva a dare riscontro a tutte le considerazioni e i commenti, compresi quelli apertamente critici. Farsi carico di un ruolo come quello di rettore può significare trovare la via per una composizione tra molte voci, avendo però anche come bussola un orientamento autonomo, chiaro ed esplicito. Ma è un metodo che comporta dei rischi, perché non presuppone che le proprie proposizioni siano sostenute da gruppi di interesse definiti in partenza, né che sia possibile un’acquisizione del consenso su base esclusivamente negoziale.

La seconda ragione è, evidentemente, nell’orientamento a cui De Martin sottopone la sua apertura dialogante. Ho rimarcato in più occasioni la mia personale diffidenza nei confronti di discorsi programmatici orientati esclusivamente ai valori, preferendo una tonalità wertfrei, per dirla con Max Weber, improntata al pragmatismo e alla capacità di enunciare una strategia attraverso azioni ed effetti misurabili. Il Rettore non può fare tutto ed è una figura, per quanto apicale, inscritta in un complesso reticolo di condizionamenti e pressioni. De Martin si propone di rispondere a molte frustrazioni, che riguardano la qualità della vita lavorativa e anche l’opacità, il senso di esclusione che emerge tra numerosi abitanti del Politecnico. E allo stesso tempo ha bene in mente il livello della competitività, nazionale e internazionale, che l’Ateneo deve sostenere massimizzando la sua capacità di migliorare la qualità della ricerca e della didattica con tutti i mezzi a sua disposizione, e con quelli ulteriori che riuscirà a congegnare. Esiste probabilmente un potenziale inespresso delle persone e dei gruppi, che potrebbe liberarsi grazie a un adeguato supporto dell’Ateneo e dei Dipartimenti, declinato sui casi particolari, sulle occasioni e sulle iniziative che la vita di ciascuno di noi apre continuamente. La capacità di rendersi plastico, negli incentivi e nelle strutture di amplificazione di questa energia potenziale, dipende dalla disponibilità che il Politecnico dimostrerà nel tenere insieme il governo verticale, che controlla le azioni partendo dal piano istituzionale, con la collaborazione orizzontale e la traduzione delle molte anime che coesistono al suo interno. La dimensione tecnologica, la ricerca laboratoriale, il progetto, gli studi sociali e umanistici e tutte le altre parti di questa galassia possono trovare composizioni inedite e capaci di rilanciare a livello internazionale il profilo di tutto l’Ateneo.

Ci sarebbe anche una terza ragione, che riguarda la sua reputazione come studioso e come persona che ha già dimostrato la propria competenza e capacità di dirigenza e organizzazione, ma non credo sia utile diffondermi in apologie su evidenze di fatto, che ciascuno può constatare altrimenti.

Il rischio più evidente di qualsiasi candidatura è l’ottimismo e l’entusiasmo, che facilmente si traducono in retorica. Juan Carlos ha chiarito questo equivoco, mi pare, quasi subito con una considerazione metaforica (e dunque a suo modo retorica), ma calzante: fare il rettore del Politecnico è come avere la responsabilità di una nave molto grande e pesante in piena navigazione, con una rotta già stabilita. Modificare quella rotta è faticoso e richiede molta determinazione: vi si può certamente riuscire, di qualche grado o forse anche di più, se la capacità dei piloti, la durata e le condizioni del viaggio lo consentono, ma non si può pensare di virare di novanta gradi, né tantomeno di invertirla. Personalmente, ho una buona disposizione verso un candidato che riconosce in anticipo le proprie limitazioni e sottopone le proprie promesse di governo ai condizionamenti reali di un mare in tempesta.

Prima di questa occasione elettorale avevo incontrato poche volte Juan Carlos, e posso dire che ho realizzato solo progressivamente che cosa possa comportare la sua candidatura. Detto nella massima sintesi, il mio giudizio è il seguente: abbiamo un’opportunità per ripensare l’Ateneo come luogo pubblico per la ricerca e l’insegnamento, come motore di trasformazione e come uno spazio generativo capace di migliorare la vita di chi lo abita e molte condizioni del mondo circostante. Un progetto che si propone di coniugare sistematicamente una visione collaborativa e solidale della vita universitaria con il più alto grado di competitività e di eccellenza è la sfida a cui un’università pubblica come la nostra deve rispondere, se vuole misurarsi sul piano nazionale e internazionale con entità dello stesso rango e dotate di una analoga prospettiva.

Alessandro Armando
Alessandro Armando

Alessandro Armando è architetto e professore associato di composizione architettonica presso il Politecnico di Torino.