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  • Politecnico Futuro: luogo di dialogo e confronto, laboratorio di idee e proposte

    Politecnico Futuro: luogo di dialogo e confronto, laboratorio di idee e proposte

    Francesca Governa, Marco Torchiano, Alessandro Armando, Marco Bassani, Emiliano Descrovi
    (Consiglio Direttivo di Politecnico Futuro)

    Stiamo attraversando un periodo complicato che interroga il nostro ruolo di ricercatori e ricercatrici. Questo è il punto di partenza del nostro “stare insieme”, di farlo e volerlo fare in maniera trasparente e aperta. La costituzione dell’associazione Politecnico Futuro è parte di questa volontà, e della necessità di scambio e confronto su questioni che chiamano in causa, più o meno direttamente, ruolo e responsabilità dell’Università intesa come luogo di formazione al lavoro, al pensiero critico, al dialogo e al confronto, all’approfondimento e alla riflessione. Leggere e approfondire questioni e temi difficili e sfuggenti, discutere e mettere in discussione, avanzare dubbi e domande, senza mai chiudersi in risposte e ricette predefinite è ciò che definisce il valore e il ruolo dell’università e della ricerca, in generale e, forse, in particolare oggi.
    Negli ultimi mesi, abbiamo condiviso un periodo entusiasmante, a tratti faticoso e difficile, nato con la candidatura di Juan Carlos De Martin a rettore e poi trasformatosi, grazie alla partecipazione di tutti e tutte, nella costituzione dall’Associazione Politecnico Futuro. Abbiamo un manifesto, in cui sono riversati i principi di fondo delle nostre idee e dei nostri desideri sul Politecnico. Abbiamo uno statuto, per aiutarci a perseguire i nostri obiettivi e a svolgere le nostre attività. Abbiamo in programma tanti incontri e momenti conviviali. Abbiamo un carteggio di messaggi e scambi a distanza che contiene idee, suggerimenti di libri da leggere e film da guardare, così come commenti e prese di posizione di varia natura e stile sulle questioni più sentite e urgenti: l’occupazione del Politecnico, il Medio Oriente e la Palestina, l’etica della ricerca, la diffusione apparentemente inarrestabile delle università telematiche, le forme della didattica, Torino e le sue difficoltà. E molto altro. Un insieme di insoddisfazioni e frustrazioni, ma anche di sfide e speranze, che accompagnano il nostro incedere quotidiano all’interno di un sistema universitario radicalmente mutato rispetto a un “ideale” di libertà del pensiero e della ricerca. Un ideale che non siamo così ingenui da rimpiangere (sappiamo che probabilmente non è mai esistito), ma che al contempo è un orizzonte cui ci sembra importante continuare a riferirsi. Come ogni orizzonte si sposta sempre e non potremo mai raggiungerlo. Ma impegnarsi, assumersi la responsabilità e l’impegno di provarci, è forse un’altra ragione per la quale siamo qui. Ed è un impegno di cui vogliamo farci carico per noi stessi, per i nostri studenti e per le nostre studentesse, per un principio di responsabilità, civile e politica, che costituisce una parte importante del nostro ruolo e del nostro mestiere.
    In questi mesi, abbiamo costruito una nostra comunità di pratiche, abbiamo praticato lo scambio e il confronto fra persone che quasi non si conoscevano, abbiamo discusso, anche animatamente, abbiamo costruito un luogo, informale e plurale, in cui condividere un’idea di futuro dell’università, del Politecnico, di noi ricercatrici e ricercatori, del nostro ruolo nel mondo. La costituzione dell’associazione è un atto formale, che impegna e istituisce una prospettiva di azione, congiunta e aperta. È importante sottolineare che Politecnico Futuro sarà (e ci sarà) con l’impegno attivo di tutti e tutte. Come è stato nella sua costruzione. Ognuno per quello che può, per quello che sa e sa fare. Politecnico Futuro è un’avventura collettiva, la cui propulsione dipende dalle forze di coloro che la costituiscono, un passo dopo l’altro. Si tratta, crediamo, di valorizzare la ricchezza del confronto e del dibattito che abbiamo costruito in questi mesi trasferendo in iniziative pubbliche i principi che ci animano, le ragioni per le quali siamo qui, la ricchezza delle nostre discussioni, l’onestà intellettuale e il rispetto che le ha sempre caratterizzate.

  • “Libera università”

    “Libera università”

    Mercoledì 2 Aprile, Ore 13-14:30

    Presso l’Aula R2, Politecnico di Torino.

    Presentazione del libro di Tomaso Montanari

    Tomaso Montanari

    Tomaso Montanari, storico dell’arte e rettore dell’Università per Stranieri di Siena, presenterà il suo ultimo libro “Libera università” (Einaudi, 2025). Seguirà discussione coi presenti.

    L’accesso è libero e gratuito fino ad esaurimento posti. Per motivi organizzativi vi preghiamo a registrarvi qui: https://mobilizon.it/events/447cf878-da59-43db-9ecd-aab4fcb94f13

    Aggiornamento: La registrazione dell’incontro è disponibile sul canale PeerTube dell’associazione: https://peertube.uno/w/qneg2yFFMuvByXeMKJAcjL

    Abstract

    Governi e poteri che temono il dissenso vedono oggi l’università come un nemico. A minacciare la libertà della conoscenza e dell’insegnamento non sono le proteste studentesche, ma il controllo politico, il disciplinamento delle idee, i tagli ai finanziamenti. Difendere il pensiero critico significa difendere il futuro della democrazia.

    In questo drammatico momento storico, nei campus di tutto il mondo studentesse e studenti manifestano: per il popolo palestinese, per la pace, contro il disastro climatico. In Italia, queste sacrosante proteste vengono represse con durezza dalle forze dell’ordine, mentre una campagna politica e mediatica presenta l’università come un pericoloso asilo di estremisti. Contemporaneamente, il governo guidato dall’estrema destra definanzia il sistema universitario, e prepara riforme liberticide. Non accade solo in Italia: dagli Stati Uniti di Trump all’Ungheria di Orbán, l’obiettivo è colpire l’autonomia delle università per stroncare dissenso e pensiero critico. Bisogna dunque respingere qualunque forma di irreggimentazione poliziesca, o di controllo politico: perché è dall’alto, e non già dal basso, che sono sempre arrivate, in ogni Stato, le vere e piú concrete minacce alla libertà delle università. È una questione che riguarda tutti: se l’università è libera, la società è libera.” (dal sito dell’editore Einaudi).

    Biografia

    Tomaso Montanari, storico dell’arte, è rettore dell’Università per Stranieri di Siena. Per Einaudi ha scritto la postfazione ai due volumi de Le vite de’ pittori scultori e architetti moderni di Giovan Pietro Bellori (2009), A cosa serve Michelangelo? (2011), Il Barocco(2012), Costituzione incompiuta (con A. Leone, P. Maddalena e S. Settis, 2013), Privati del patrimonio (2015), La libertà di Bernini (2016), Contro le mostre (con V. Trione, 2017), Velázquez e il ritratto barocco (2018), L’ora d’arte (2019), La seconda ora d’arte (2021), Chiese chiuse (2021), Il nostro volto. Cento ritratti italiani in immagini e versi (con F. Marcoaldi, 2021), Se amore guarda. Un’educazione sentimentale al patrimonio culturale(2023), La terza ora d’arte (2024) e Libera università (2025).

  • L’università senza condizioni?

    Agende di ricerca e impatto sociale degli Atenei

    Lunedì 17 Febbraio, Ore 13-14:30

    Presso l’Aula 1D, Politecnico di Torino.

    Il Professor Gabriele Pasqui del Politecnico di Milano, discuterà della maglia delle “condizioni” entro le quali prende corpo il lavoro accademico. Seguirà dibattito.

    L’accesso è libero ma per organizzare al meglio l’evento vi invitiamo a registrarvi qui: https://mobilizon.it/events/54054781-b53f-4d60-a82d-93b134f0733f

    Aggiornamento: La registrazione dell’incontro è disponibile sul canale PeerTube dell’associazione: https://peertube.uno/w/wbsS9fDEtHQvhhr2vfpnvQ

    Abstract

    17 febbraio 2025 – In un bellissimo saggio sull’università, Jacques Derrida osservava in modo problematico la crescente dipendenza delle istituzioni accademiche da un insieme di condizioni e condizionamenti che hanno a che vedere con processi economici, sociali e culturali di lungo periodo.

    In questo contesto, l’università appare sempre più “sotto condizione”, dal punto di vista della definizione dell’agenda della propria ricerca e del rapporto tra ricerca e didattica.

    D’altra parte, le università sono importanti attori delle politiche non solo della formazione e della ricerca, ma anche della rigenerazione urbana, della tecnologia e dello sviluppo locale, a diverse scale. Il modo in cui ciò accade sembra essere fortemente intrecciato con la maglia delle “condizioni” entro le quali prende corpo il lavoro accademico. Con il professor Gabriele Pasqui ci interroghiamo su questi processi in una prospettiva che guarda insieme ai processi culturali profondi e agli equilibri di potere nel campo dell’azione e delle politiche pubbliche, assumendo come punto di ingaggio il mondo del Politecnico di Milano.

    Biografia

    Gabriele Pasqui insegna politiche urbane alla Scuola di Architettura, Urbanistica e Ingegneria delle Costruzioni del Politecnico di Milano, dove è stato fondatore e direttore per 9 anni del Dipartimento di Architettura e Studi Urbani (DAStU). Oggi è Presidente del Comitato Scientifico di Urban@it, Centro Studi per le Politiche Urbane; membro del Comitato Etico del Politecnico di Milano; componente del Comitato Scientifico di Mechrì – Laboratorio di filosofia e cultura.

  • Ricerca pubblica, servizi segreti: il ddl sicurezza e l’università

    Ricerca pubblica, servizi segreti: il ddl sicurezza e l’università

    Servizi Segreti e Ricerca

    Politecnico Futuro condivide e ripubblica il seguente comunicato di AISA:

    Gli studiosi italiani che lavorano all’università e negli enti di ricerca pubblici sono già assuefatti alla sorveglianza. L’Anvur, agenzia nominata dal governo per la valutazione della ricerca, investita del potere di stabilire quali riviste sono scientifiche e quali no, si prende la libertà di rovistare amministrativamente nei cassetti delle redazioni per controllare referaggi di cui altrimenti esalta oltremodo la confidenzialità. E anche i privati che traggono profitto dal controllo governativo sulla ricerca – oligopolisti dell’editoria scientifica commerciale come Elsevier e Springer-Nature – li hanno abituati a leggere riviste che li leggono e a riacquistare i dati che hanno regalato loro riconfezionati sotto forma di servizi amministrativi e sedicenti predittivi.
    Con il ddl sicurezza S.1236, però, la sorveglianza diventa più attiva ed eccitante: il primo comma dell’articolo 31 obbliga chi lavora nelle università e negli enti di ricerca a collaborare con i servizi segreti. Per esempio chi insegna potrebbe così emozionarsi a rivelare ad agenti diversi da quelli dell’ANVUR le preferenze politiche degli studenti con cui discute ai ricevimenti e a lezione, e sentirsi anche lui un po’ eroe – ancorché coatto – della sicurezza nazionale.
    Chi invece pensa che l’unico servizio della scienza sia quello dell’uso pubblico della ragione, e non trova particolarmente emozionante soffocare la libertà della discussione scientifica e didattica violando svariati articoli della costituzione italiana, può leggere e far leggere il nostro comunicato che, forte dell’analisi in punto di diritto di Roberto Caso, cofondatore ed ex presidente dell’AISA, invita il parlamento a rigettare un così avventuroso disegno.

    Il disegno di legge (ddl) sicurezza S.1236 “disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario” presentato dal Governo il 22 gennaio 2024, approvato dalla Camera dei deputati il 18 settembre 2024 e ora in discussione al Senato è al centro di un acceso dibattito politico dentro e fuori del Parlamento.
    Il ddl interviene con finalità repressive e securitarie sul diritto e sulla procedura penale. Molte critiche sono state mosse contro l’impostazione di fondo e gli strumenti normativi utilizzati. Secondo i critici, la proliferazione dei reati, l’inasprimento delle pene, attuata mediante l’affastellamento di disposizioni legislative di difficile coordinamento, interpretazione e applicazione, colpisce i più deboli e contrasta il dissenso politico, determinando un’illegittima compressione dei principi e delle norme costituzionali che tutelano diritti e libertà fondamentali. In particolare, a essere a rischio sono la libertà di riunione, informazione e di manifestazione del pensiero. Dei molteplici argomenti mobilitati contro il ddl vi è traccia nei documenti acquisiti in Parlamento durante le audizioni: si vedano, a titolo di esempio, le memorie presentate al Senato dal prof. Massimo Luciani, dal prof. Enrico Grosso, dall’Unione delle Camere Penali.

    Tra le tante disposizioni normative oggetto di critica ve ne è una che ha ricevuto meno attenzione. Essa riguarda l’estensione del potere dei servizi di informazione in riferimento alle università e agli enti pubblici di ricerca. Si tratta dell’art. 31, comma 1, del ddl rubricato “Disposizioni per il potenziamento dell’attività di informazione per la sicurezza” che mira a modificare il comma 1 dell’articolo 13 dell’ultima legge di riforma dei servizi di informazione, l. 3 agosto 2007, n. 124, sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto.

    L’attuale art. 13, c.1, della legge 2007/124 così recita:

    “1. Il DIS, l’AISE e l’AISI possono corrispondere con tutte le pubbliche amministrazioni e con i soggetti che erogano, in regime di autorizzazione, concessione o convenzione, servizi di pubblica utilità e chiedere ad essi la collaborazione, anche di ordine logistico, necessaria per l’adempimento delle loro funzioni istituzionali; a tale fine possono in particolare stipulare convenzioni con i predetti soggetti, nonché con le università e con gli enti di ricerca”. 

    Se il ddl sicurezza fosse approvato il testo del comma 1 dell’art. 13 della l. 2007/124 diventerebbe il seguente:

    “1. Le pubbliche amministrazioni, le società a partecipazione pubblica o a controllo pubblico e i soggetti che erogano, in regime di autorizzazione, concessione o convenzione, servizi di pubblica utilità sono tenuti a prestare al DIS, all’AISE e all’AISI la collaborazione e l’assistenza richieste, anche di tipo tecnico e logistico, necessarie per la tutela della sicurezza nazionale. Il DIS, l’AISE e l’AISI possono stipulare convenzioni con i predetti soggetti, nonché con le università e con gli enti di ricerca, per la definizione delle modalità della collaborazione e dell’assistenza suddette. Le convenzioni possono prevedere la comunicazione di informazioni ai predetti organismi anche in deroga alle normative di settore in materia di riservatezza”.

    La scheda di lettura che accompagna il ddl rileva quanto segue:

    “Il comma 1, lett. a), n. 1, modifica l’articolo 13, comma 1, della legge 124/2007 (la legge reca la nuova disciplina dei servizi di informazione), prevedendo che le pubbliche amministrazioni e alcuni soggetti ad esse equiparati siano tenuti a prestare al Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS) e alle agenzie del sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica – ossia l’Agenzia informazioni e sicurezza esterna (AISE) e l’Agenzia informazioni e sicurezza interna(AISI) – la collaborazione e l’assistenza richieste, anche di tipo tecnico e logistico, necessarie per la tutela della sicurezza nazionale.

    Attualmente, la disposizione vigente prevede che DIS e agenzie possono corrispondere con le pubbliche amministrazioni e con i soggetti che erogano, in regime di autorizzazione, concessione o convenzione, servizi di pubblica utilità e chiedere ad essi la collaborazione, anche di ordine logistico, necessaria per l’adempimento delle loro funzioni istituzionali.

    La norma in esame, da un lato, rende cogente la collaborazione – ed anche l’assistenza, non prevista dalla norma vigente – che gli organismi di sicurezza eventualmente richiedono alle pubbliche amministrazioni. Dall’altro, specifica che la collaborazione e assistenza debbano essere motivate dalla necessità della tutela della sicurezza nazionale, mentre la disposizione vigente fa riferimento alla necessità di adempiere alle funzioni istituzionali di detti organismi.

    Inoltre, viene ampliato il novero dei soggetti tenuti a prestare la collaborazione, estendendo tale obbligo alle società a partecipazione pubblica o a controllo pubblico.

    Come nella formulazione vigente, è previsto che le modalità di tale collaborazione siano definite con convenzioni tra i soggetti tenuti a prestarla e gli organismi di informazione per la sicurezza. A differenza della disposizione in vigore, viene specificato che le convenzioni possano prevedere anche la comunicazione di informazione agli organismi in deroga ai vincoli di riservatezza previsti dalla normativa di settore.

    Il comma 1, lett. a), n. 2, modifica la rubrica dell’articolo 13 della legge 124/2007 per adattarla alle modifiche di cui sopra [grassetti originali]”.

    Com’è stato notato dal Dott. Armando Spataro in sede di audizione, tale nuovo intervento normativo risponde all’”orientamento politico finalizzato ad estendere il ruolo delle Agenzie di Informazione nella direzione di attività che non competono loro, come – in particolare – quelle di indagine giudiziaria”. 

    Due aspetti della proposta di modifica saltano agli occhi:

    1. il potere dei servizi di informazione di corrispondere con gli altri soggetti facenti capo allo stato e chiedere la collaborazione si trasforma in obbligo dei questi ultimi di prestare collaborazione e assistenza;
    2. le convenzioni disciplinate dalla disposizione legislativa possono prevedere la comunicazione di informazioni in deroga alle normative di settore in materia di riservatezza.

    L’imposizione, nell’ambito universitario e della ricerca pubblica, dell’obbligo di collaborare in connessione alla comunicazione di informazioni in deroga alle normative di settore in materia di riservatezza suscita preoccupazione.

    Il Presidente dell’autorità garante per la protezione dei dati personali si è espresso a margine del testo discusso alla Camera, sostenendo che l’uso della categoria “riservatezza” non include la protezione dei dati personali:

    “il riferimento alla riservatezza va inteso – collocando la norma all’interno del contesto giuridico in cui si inscrive e ai parametri della legge 124 – con riguardo a profili diversi dalla disciplina di protezione dati personali. E questo, non tanto e non solo per ragioni nominalistiche, quanto perché l’articolo 58 del Codice in materia di protezione dei dati personali già introduce una disciplina derogatoria, con valenza generale, del trattamento di dati personali da parte degli Organismi, per fini di sicurezza nazionale. A tale cornice generale dovrà, pertanto, ricondursi il trattamento di dati personali funzionale (o connesso) a tali comunicazioni, anche considerando che la deroga introdotta si riferisce a normative “di settore in materia di riservatezza” e non, invece, a una di taglio generale quale, appunto, quella di cui all’art. 58 del Codice”.

    Se quanto rilevato dal Garante della Privacy è corretto, a quale riservatezza intende riferirsi la norma? 

    La disposizione legislativa, anche per la sua ambiguità, si presta a essere interpretata come fonte di un anomalo potere investigativo in capo ai servizi di informazione da utilizzare nei confronti di università ed enti pubblici di ricerca. Tale potere si pone in frontale contrasto con la tutela costituzionale della riservatezza personale, delle libertà di informazione e manifestazione del pensiero nonché della libertà e autonomia accademiche, violando gli art. 2, 15, 21 e 33 della Costituzione.

    Nell’attesa che gli organi di rappresentanza dell’università italiana e degli enti pubblici di ricerca facciano sentire la propria voce, l’AISA chiede al Parlamento di non approvare il ddl S.1236 “disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario” e, in ogni caso, di cancellare la proposta di modifica dell’art. 13 della l. l. 2007/124 contenuta nell’art. 31 del disegno di legge.

    Questo testo è re-distribuito con licenza CC BY-SA 4.0 license  di AISA, la fonte originale è: https://aisa.sp.unipi.it/ricerca-pubblica-servizi-segreti-il-ddl-sicurezza-e-luniversita/

  • Considerazioni sul Meccanismo Elettorale del CdA

    Considerazioni sul Meccanismo Elettorale del CdA

    Il sistema elettorale del Consiglio di Amministrazione (CdA) del Politecnico di Torino ha alcune peculiarità rispetto sia ad altre elezini interne sia ad analoghe elezioni in altri atenei, che lo rendono unico e meritano qualche riflessione approfondita, specie dopo tre tornate dalla sua istituzione.

    La prima e più significativa singolarità è l’adozione di due urne, una per il personale docente ed uno per quello PTA, in cui si raccolgono le preferenze delle due rispettive categorie, ma abbinate a un’unica lista condivisa di candidati (Art. 12 comma 5 Statuto).

    La seconda singolarità è che i docenti per eleggere quattro rappresentanti, possono esprimere fino a due preferenze ma i voti devono essere per candidati di genere diverso. Il doppio voto è una caratteristica condivista con varie altre elezioni del Politecnico di Torino, ma è una caratteristica distintiva, ad esempio rispetto al Politecnico di Milano. Il vincolo sul genere distinto delle preferenze è stato introdotto solamente a partire dall’ultima tornata (2020).

    Riepilogo del Funzionamento delle Elezioni CdA

    Il CdA è formato da 11 componenti, nello specifico:

    • il Rettore che lo presiede,
    • quattro membri interni eletti dal personale docente,
    • un membro interno eletto dal personale PTA,
    • tre membri esterni all’ateneo designati dal Senato Accademico,
    • un rappresentante degli studenti.

    Il personale interno dell’ateneo può proporre la propria candidatura per i cinque posti riservati (4+1). Successivamente, un Comitato nominato dal SA verifica i requisiti dei candidati, in particolare “essere in possesso di comprovata competenza in campo gestionale ovvero di un’esperienza professionale di alto livello con una necessaria attenzione alla qualificazione scientifica culturale”, oltre a non avere riportato condanne per reati contro la PA. Questo passaggio puramente formale è necessario per soddisfare la lettera della legge 240/2010, ma nei fatti non ha mai scartato nessun candidato. I candidati con una comprovata e verificata esperienza formano una unica lista elettorale che include sia candidati docenti che PTA.

    Le votazioni si svolgono con un meccanismo di doppia urna, una che riceverà le preferenze espresse dall’elettorato docente e una per quelle dell’elettorato PTA. Le due urne sono completamente distinte.

    Nelle elezioni del politecncico vale l’Art. 35, comma 1 dello statuto, secondo il quale il numero di preferenze esprimibili è fino a “un terzo, arrotondato all’intero superiore, [del numero] dei nominativi da designare.”.

    Le modalità di espressione delle preferenza sono leggermente diverse per le due urne:

    • il personale docente dovendo eleggere quattro membri può esprimere fino a due preferenze,
    • inoltre, a partire dalle elezioni del 2020 le preferenze (se espresse entrambe) devono essere per candidati di genere diverso (Art. 10, comma 5 Regolamento Elezioni CdA)
    • il personale PTA (dovendo eleggeere un solo candidato) può esprimere una sola preferenza.

    Il Problema della Doppia Urna con una Singola Lista

    L’adozione della singola lista, in base a quanto ricordo della redazione dello statuto, è legata alla motivazione, astrattamente nobile, che pone su un piano di uguaglianza le due categorie, ovvero i docenti potrebbero decidere di eleggere come proprio rappresentante un membro del PTA e viceversa.

    Nella pratica dare un voto ad un candidato non della propria categoria equivale di fatto a votare scheda bianca: ogni categoria di fatto vota con larga prevalenza i propri candidati e le preferenze assegnate in un’urna non contribuiscono all’elezione nell’altra.

    Esiste il rischio che se gli elettori non sono consci di questo meccanismo, la lista unica abbia l’effetto di generare una sorta di candidati civetta che attraggono voti che in un contesto divereso avrebbero potuto andare ad un altro candidato.

    Se osserviamo gli esiti delle ultime quattro elezioni possiamo notare come, salvo l’ultima tornata dove è stato esplicitamente menzionato il problema, le preferenze andate ai candidati dell’altra categoria avrebbero potenzialmente potuto cambiare l’esito, invertendo la posizione dell’ultimo candidato eletto con il primo escluso.

    Osservando le elezioni del 2024:

    • Le 43 preferenze che Pappani ha ricevuto dal personale docente, ininfluenti in quest’urna, avrebbero potuto, a pari genere, proiettare l’ultima degli eletti (Lami) in prima posizione. Ma non ci sarebbe stata una variazione degli eletti, visto il significativo distacco tra l’ultima degli eletti ed il non eletto (Vaccarino)
    • Nell’urna PAT, il grande distacco tra l’eletto (Griva) e la prima dei non eletti (Pappani) è tale che i voti ai docenti non avrebbero cambiato nulla.

    Osservando le elezioni del 2020:

    • Le 9 preferenze che Di Venere ha ricevuto dal personale docente, ininfluenti in quest’urna, avrebbero potuto, a pari genere, invertire le posizioni tra l’ultimo eletto, Audenino, e la prima non eletta, Serra (distanziati di 6 proferenze)
    • Le 43 preferenze che Demartini ha ricevuto dal personale PTA, inutili alla sua elezione perché nell’urna docenti, o anche i 44 ricevuti da Serra avrebbero potuto invertire le posizioni tra l’eletto, Curtabbi, e la prima non eletta, Di Venere (distanziati di 37 preferenze)

    Osservando le elezioni del 2016:

    • la somma delle preferenze per i due candidati PTA più votati nell’urna dei docenti (Maccario 15 e Piserchia 14) pari a 29, supera la differenza che esiste tra l’ultimo degli eletti (Montuschi) ed il primo degli esclusi (Germak) pari a 23.
    • la somma delle preferenze per i due candidati docenti più votati nell’urna PTA (Germark 14 e Velardocchia 10) pari a 24, supera la differenza che esiste tra il candidato eletto (Curtabbi) e la prima degli esclusi (Maccario) pari a 23.

    Osservando le elezioni del 2013:

    • la somma delle preferenze per tutt i candidati PTA votati nell’urna dei docenti pari a 50, supera la differenza che esiste tra l’ultimo degli eletti (Mellano) ed il primo degli esclusi (Curri) pari a 45.
    • le preferenze per uno dei due candidati docenti più votati nell’urna PTA (Marchis 10 o Monaco 9), superano la differenza che esiste tra il candidato eletto (Barisone) e il primo degli esclusi (Curtabbi) pari a 5.

    Doppio Voto

    Il doppio voto, di nuovo sulla base di quanto ricordo, è stato pensato per rendere meno “manipolabili” le elezioni. Nei fatti quello che si nota è che in previsione di elezioni con preferenze multiple c’è una ricerca di altri candidati per formare dei ticket in cui i sostenitori di uno dei due candidati votano anche l’altro e viceversa.

    Osservando la percentuali di votanti che hanno espresso una sola preferenza, si nota che c’è una parte non trascurabile di elettori che decidono di non esprimere la seconda preferenza: probabilmente se un candidato non si accorda, i suoi sostenitori non usano il secondo voto.

    Vincolo di genere

    È interessante osservare l’effetto della doppia preferenza con il vincolo sul genere disgiunto delle preferenze, che è stato introdotto nel 2020.

    Nelle due elezioni precedenti l’introduzione del vincolo di genere, nessuna donna si è candidata (salvo una elezione suppletiva) e di conseguenza eletta.

    In base al Regolamento per la Designazione del CdA del 2012, in particolare Art 6, comma 3: “[…] qualora il numero dei candidati esterni e/o interni per ciascun genere risulti inferiore al 30% del numero complessivo della relativa tipologia di candidati […]” i termini vengono riaperti.

    Nei fatti la riapertura dei termini non è mai stata efficace nell’incentivare la partecipazione femminile.

    Le cose sono cambiate notevolmente con l’introduzione del nuovo Regolanmento per la Designazione del CdA del 2020, in particolare l’Art 10, comma 5: “Ogni professore e ricercatore dispone di due preferenze e, qualora intenda esprimerle entrambe, esse debbono necessariamente essere di genere differente […]”

    In seguito a questo nuovo vincolo, su 5 candidati del personale docente, ben 3 erano di genere femminile e su quattro consiglieri eletti, due erano donne. Il risultato netto è stato un incremento notevole sia della partecipazione che dell’effettiva elezione da parte della popolazione docente femminile.

    In seguito a questo nuovo vincolo, nel 2020, su 5 candidati del personale docente, ben 3 erano di genere femminile e su quattro consiglieri eletti, due erano donne. Nelle ultime elezioni, 5 candidati tra cui 2 di genere femminile, con perfetta parità di genere fra gli eletti.

    Il risultato netto è stato un incremento notevole sia della partecipazione da parte della popolazione docente femminile che nell’effettiva elezione.

    AnnoCandidateEletteDocenti% Candidate% Elette
    20130090%0%
    20160050%0%
    202032560%66.7%
    202422540%100%
    Candidature femminili con nuovo statuto

    Conclusioni

    Non esiste una motivazione forte per mantenere la singola lista con la doppia urna. Sarebbe preferibile passare ad una doppia lista, come in molti altri atenei. Questo avrebbe il vantaggio di avere una procedura semplice, di facile comprensione e priva di potenziali effetti collaterali.

    Il doppio voto (in realtà intero superiore di 1/3) di per se non ha dimostrato vantaggi, ma combinato con il vincolo di genere disgiunto ha invece cambiato radicalmente la partecipazione femminile al CdA e la composizione di genere del CdA.

    Riferimenti

    Statuto PolitTo

    Regolamento Generale di Ateneo PoliTo

    Regolamento per la Designazione del Consiglio di Amministrazione

    Statuto PoliMi

    RGA Polimi

  • La tutela della libertà accademica nell’ordinamento italiano

    Mercoledì 18 Dicembre, Ore 13-14:30

    Presso l’Aula 9B, Politecnico di Torino.

    La Professoressa Barbara Gagliardi dell’Università di Torino, introdurrà il concetto di libertà accademica da un punto di vista giuridico. Seguirà dibattito.

    L’accesso è libero ma per organizzare al meglio l’evento vi invitiamo a registrarvi qui: https://www.eventbrite.com/e/1095236675379

    Aggiornamento: La registrazione dell’incontro è disponibile sul canale PeerTube dell’associazione: https://peertube.uno/w/uMj7fXd8qpRcNjySMsmAAu

    Abstract

    La libertà accademica è un diritto di libertà, o più precisamente un principio generale dell’ordinamento, che ricomprende posizioni giuridiche riferibili a diversi soggetti: in quanto diritto individuale è riferibile senz’altro a professori, ricercatori, e studenti; nella sua dimensione di interesse collettivo include i terzi, cui si riconosce un diritto “a che si faccia scienza”.

    Il diritto individuale alla scienza si afferma come libertà “professionale”. Seppur caratterizzato da una tutela più forte di quella prevista per la libertà di manifestazione del pensiero, incontra dei limiti che sono posti dalle comunità di riferimento, che si tratti della comunità accademica o della comunità scientifica di settore. Dalla libertà di manifestazione del pensiero si differenzia, inoltre, in quanto non si tratta di una libertà meramente “negativa”, ma al contrario si pone come pretesa a prestazioni nei confronti delle istituzioni.

    Biografia

    Barbara Gagliardi, PhD, è professoressa di diritto amministrativo presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino.

    È stata visiting scholar presso la Chaire Mutations du Droit Public et de l’Action Publique di Sciences Po Paris e presso il Center for Studies in Higher Education dell’Università della California – Berkeley. Ha partecipato a ricerche coordinate dall’Université de Neuchâtel (Svizzera), dall’Universitat de Barcelona (Spagna), dall’Université de Dijon e dall’Université de Franche-Comté (Francia).

    È autrice di oltre ottanta pubblicazioni – tra cui quattro monografie – sui temi della libertà accademica e dell’organizzazione universitaria, del diritto del pubblico impiego, del diritto amministrativo europeo e dell’organizzazione sanitaria.

    È caporedattrice della rivista scientifica Diritto amministrativo – Giuffrè e fa (o ha fatto) parte dei comitati di direzione, editoriali o scientifici delle riviste Actualité Juridique Fonctions Publiques (AJFP) – Dalloz; Il Piemonte delle AutonomieIus Publicum Network Review (www.ius-publicum.com).

    Indicazioni bibliografiche essenziali:

    • O. Beaud, Le savoir en danger, Presses Universitaires de France, 2021.
    • O. Beaud, Les libertés universitaires à l’abandon?, Dalloz, 2010.
    • E. Barendt, Academic Freedom and the Law (a Comparative Study), Hart Publishing, 2010.
    • R. Cavallo Perin, L’Università come istituzione di libera scienza, in Diritto Amministrativo, 3/2023, 549-590.
    • M.W. Finkin, R. Post, For the Common Good: Principles of American Academic Freedom, Yale University Press, 2011. 
    • B. Gagliardi, La tutela amministrativa della libertà accademica, Cedam, 2018.
    • A. Orsi Battaglini, Libertà scientifica, libertà accademica e valori costituzionali, in Nuove dimensioni nei diritti di libertà, Scritti in onore di Paolo Barile, Cedam, 1990, 92 e s.
    • R. Post, Democracy, Expertise and Academic Freedom, Yale University Press, 2012.
    • H. Reichman, Understanding Academic Freedom, Johns Hopkins University Press, 2021. 
    • L. Violini, M Seckelmann, C. Fraenkel-Haeberle, G. Ragone (eds.), Academic freedom under pressure? A comparative Perspective, Springer, 2021.
    • J. Wallach Scott, Knowledge, Power, and Academic Freedom, Columbia University Press, 2019. 

  • Partecipazione Incontro Università Precaria

    Politecnico Futuro parteciperà all’incontro Università Precaria organizzato da Partito Democratico e Giovani Democratici il 15 Novembre.

  • Qualche domanda e qualche dubbio: le università telematiche viste dalle Università pubbliche tradizionali

    Qualche domanda e qualche dubbio: le università telematiche viste dalle Università pubbliche tradizionali

    Francesca Governa, Marco Torchiano

    Le università telematiche non sono un fenomeno solo italiano, ma l’Italia è il Paese che ha il numero più alto di atenei telematici nell’insieme del sistema universitario del paese. Tutti gli atenei telematici italiani sono privati. Il giro di affari che ruota attorno alle Università telematiche italiane è di 850 milioni di euro, a fronte di 3.8 miliardi di euro in tutta l’Unione Europea. In Italia, a differenza di altri paesi, il titolo di studio ha valore legale in sé, indipendentemente da quale sia l’ateneo che conferisce il titolo stesso. Fra il 2013 e il 2023, il numero di studenti e studentesse iscritti a un corso di laurea o laurea magistrale online in Italia è aumentato del 480% mentre gli iscritti agli atenei tradizionali hanno registrato un incremento di solo 1%. In Italia, ogni anno, le università telematiche, pur essendo private, ottengono, in media, un finanziamento di circa 2 milioni di euro di contributi pubblici; dal 2021, lo Stato paga il 50% dei costi ai dipendenti pubblici che si iscrivono all’università, provvedimento recentemente esteso alle università telematiche. Dal 2023 la percentuale di didattica online erogabile nei percorsi per la formazione degli insegnanti è passata dal 20% al 70%, garantendo così un indubbio vantaggio alle università telematiche rispetto agli atenei tradizionali che, per legge, non possono erogare più del 20% di didattica in modalità online. 

    Questi dati e queste informazioni, che si possono facilmente ritrovare in recenti articoli di giornale (ad esempio il dossier sul Corriere della Sera), in riferimenti normativi e documenti ufficiali consultabili sul sito dell’Anvur (Agenzia Nazionale per la Valutazione dell’Università e della Ricerca) e del MUR (Ministero dell’Università) mostrano come le università telematiche siano un ambito del sistema universitario italiano in enorme crescita, ma anche caratterizzato da un’ampia quota di ambiguità e opacità. Ovviamente, le università telematiche non sono tutte uguali: le “storie” dei diversi atenei, così come dei loro Amministratori Delegati e della loro governance, delinea grandi differenze, ma anche alcuni aspetti comuni (e comunemente preoccupanti). Basti ricordare, a titolo esemplificativo, alcune vicende giudiziarie in cui sono state recentemente coinvolte alcune università telematiche.

    In sé, che una parte (almeno) delle attività didattiche possano essere svolte online non è uno scandalo. Il problema è un altro e rimanda alla sempre più evidente, e drammatica, distanza fra la pratica delle università telematiche italiane e l’idea stessa di università come luogo deputato alla conoscenza e alla ricerca, alla formazione di un sapere critico e all’aumento di consapevolezza politica e civile del nostro essere, come docenti e studenti, prima di tutto cittadini, con tutti i diritti, i doveri e le responsabilità che questo comporta. È possibile cioè pensare che tutta la didattica possa e debba essere svolta online e che possa sostituire in toto ogni attività accademica? Che la “svolta telematica” sia e debba essere appannaggio di università private e che sia la panacea per tutti i problemi dell’università italiana (e non solo: anche del paese nel suo insieme: i divari Nord/Sud o la scarsa competitività dei lavoratori e delle lavoratrici italiane in relazione al basso tasso di scolarità superiore che connota, drammaticamente, l’Italia rispetto agli altri paesi Europei)? Che la relazione ricerca/didattica sia un di-più poco rilevante e non il dato costitutivo dell’università in sé? Che, infine, l’innovazione tecnologica richieda l’online per essere insegnata e praticata bene?

     Nella difesa acritica e partigiana delle università telematiche non c’è alcuna valutazione di quali attività didattiche possano essere utilmente svolte online e quali no, così come non c’è riflessione alcuna sulle possibilità di sperimentazione nell’intreccio fra attività online e attività in presenza e fra attività didattica e relazioni con il mondo esterno all’università stessa (e, per quanto riguarda gli atenei telematici, alle case degli studenti). In altri paesi, la svolta telematica della formazione superiore è parte del sistema universitario pubblico: la Open University di Milton Keynes nel Regno Unito è un’università pubblica che vanta una lunga tradizione nel campo della formazione a distanza non disgiunta da una importante attività di ricerca o, in Spagna, dove le università telematiche, come ad esempio  l’Universidad Nacional de Educación a Distancia (UNED) e l’Universitat Oberta de Catalunya (UOC), sono pubbliche o a partecipazione pubblica. Il sistema universitario pubblico può sperimentare efficacemente nel campo dell’educazione a distanza, ma deve essere messo nelle condizioni di poterlo fare. Tempo, risorse, finanziamenti sono gli ingredienti necessari per ogni seria sperimentazione e ogni seria riflessione. Cosa a cui tutti gli atenei tradizionali italiani sono costantemente rivolti. Con fatica, certo. Anche per il continuo taglio dei finanziamenti pubblici all’università. 

    Le università telematiche italiane non valutano né differenziano: tutto è online, anche in alcuni casi gli esami, nonostante questa pratica sia esplicitamente vietata. Il rapporto fra numero di docenti e numero di studenti è, da questo punto di vista, indicativo: mentre nelle università tradizionali si ha 1 docente per 28.5 studente, nelle università telematiche tale rapporto è di 1 a 385. Un dato incredibile, non tanto per l’erogazione della didattica che essendo completamente online (questione come detto problematica in sé) può essere fruita da un numero altissimo di studenti, ma soprattutto considerando gli esami, momento delicato e importante nelle relazioni fra docenti e studenti non solo per la valutazione, ma anche per la formazione se pensato in maniera un po’ meno banale del semplice adempimento burocratico o, peggio, abbassandolo a una semplice transazione (dare un voto/ricevere i crediti). In fondo è quello che mette in evidenza Tommaso Montanari in un articolo su Il Fatto quotidiano del 23 settembre 2024 in cui parla della “drastica mutazione genetica” delle università, innescata dal parere del Consiglio di Stato del 14 maggio 2019 che ha permesso che le università possano appartenere a società di capitali rendendole così imprese in cui “l’erogazione del ‘pezzo di carta’ (sul quale non è scritto, come invece dovrebbe essere, se lo si è preso in una università reale, o in una virtuale…) diventa di fatto l’unica missione, il profitto l’unico fine: per questo le ‘università’ virtuali sono la perfetta compagnia di un potere che odia il pensiero critico”. La giurisprudenza ormai ritiene che gli studenti delle università debbano essere ritenuti consumatori.

    Se, come viene ribadito da promotori e difensori delle  università telematiche, uno degli obiettivi principali delle stesse è quello di favorire il diritto allo studio, garantendo l’accesso all’istruzione universitaria di lavoratori e lavoratrici e di studenti e studentesse che abitano in aree del paese non servite da università tradizionali, non si capisce perché la scelta non vada nella direzione di dotare il sistema universitario pubblico degli strumenti e delle risorse necessarie a sperimentare e innovare. Il diritto allo studio non si promuove finanziando gli atenei telematici privati che sono imprese, gestite da imprenditori con fini imprenditoriali, ma investendo in mense e studentati e, in generale, nelle università pubbliche anche per la sperimentazione didattica. Così come destituito da ogni seria verifica empirica è che la diffusione delle università telematiche permetterebbe di colmare la lacuna fra il numero di laureati nel nostro paese e il numero dei laureati in altri paesi europei (rif. Dati). O, ancora, l’assioma secondo il quale le università telematiche favorirebbero una riduzione dei divari fra il Nord e il Sud dell’Italia. Guardiamo i dati elaborati da Filippo Celata sull’andamento delle iscrizioni nelle università del Sud Italia, leggiamo le riflessioni di Gianfranco Viesti sui rischi di “sgretolamento” dell’Italia periferiche che non potranno essere sanati da qualche laureato in più nelle università telematiche. Le fratture che si stanno aprendo sono più sottili e profonde, e per questo più pericolose. Rimandano a una crescente divisione, nel Meridione ma non solo, fra chi può e chi non può: chi può spostarsi a Milano, Torino o all’estero per cercare una formazione di qualità in linea con le eccellenze della ricerca internazionale (sì perché all’Università ricerca e didattica vanno e devono andare insieme) e chi non può spostarsi, e si iscrive a università telematiche di dubbia reputazione e qualità. Le valutazioni ottenute nelle valutazioni dall’Anvur sono, a questo riguardo, piuttosto eloquenti, con solo un ateneo telematico valutato come pienamente soddisfacente; 8 soddisfacenti e 2 condizionato alla risoluzione delle criticità riscontrate. Negli stessi rapporti di accreditamento periodo, le università tradizionali ottengono, al contrario, una valutazione mediamente positiva, cui si aggiungono alcuni aspetti della didattica in presenza che non possono essere trascurati e che anzi costituiscono il vero vantaggio delle università tradizionali. La possibilità di contatto diretto fra docenti e studenti, in primo luogo, considerando che, normalmente, nel corso dei semestri in cui è organizzata l’attività didattica le lezioni sono distribuite su due/tre giorni alla settimana, cui si aggiungono le ore che ogni docente è tenuto a mettere a disposizione ogni settimana per il ricevimento degli studenti che hanno necessità di chiarimenti per la preparazione degli esami, la revisione delle esercitazioni e/o delle tesi, o che richiedono indicazioni circa il loro percorso didattico o per decidere come e dove proseguire gli studi. L’interazione fra studenti è, inoltre, centrale nel percorso di apprendimento e di crescita individuale. Imparare a confrontarsi, lavorare e discutere con altri studenti, spesso con una storia personale diversa (per formazione pregressa, provenienza geografica e background socio-culturale, ad esempio), è un vantaggio per l’apprendimento disciplinare e per la crescita dei singoli precluso agli studenti delle università telematiche. Così come gli incontri e le amicizie che si costruiscono negli anni dell’università non hanno solo un valore in senso lato “sociale”, ma possono costituire un capitale di contatti e conoscenze per il futuro professionale. 

    Sull’articolo “Università telematiche tra fatti e pregiudizi” pubblicato il 26 ottobre 2024 sul Corriere della Sera, Roberta Adelaide Modugno, collega dell’Università di Roma 3, inizia la difesa delle Università telematiche italiane con una espressione densa di significato: “Le università telematiche private sono da tempo sotto accusa, in un Paese in cui l’università è largamente egemonizzata dallo Stato e il numero dei laureati è nettamente inferiore alla media europea”. Ci sono 3 aspetti significativi in questa frase: le accuse verso le università telematiche, il fatto che l’università italiana sia “largamente egemonizzata dallo Stato” (che detto così sembra una cosa brutta, ma in realtà è il fatto che il sistema universitario italiano sia per larga parte un sistema universitario pubblico, cosa non trascurabile e che andrebbe rivendicata e difesa come un grandissimo valore) e il fatto che il numero dei laureati in Italia sia (e rimanga) tradizionalmente basso. Dato quest’ultimo incontrovertibile e che neanche l’incremento degli iscritti agli atenei telematici sembra in grado di scalfire. Tuttavia, associare le università telematiche, la difesa delle università telematiche, alla “egemonia dello Stato” nel sistema universitario tradizionale (anche chiamata, in un altro passo dell’articolo ”attuale sistema statocentrico” dell’università italiana) indica che, in fondo, ciò che è davvero in discussione quando si parla di questa apparentemente inarrestabile ascesa delle università telematiche nel nostro paese è l’università pubblica, e i valori di libertà e universalismo di cui è portatrice. 

    Cosa si può fare?

    Alcuni “correttivi” alle principali storture delle università telematiche, in particolare limitare il rapporto docenti/studenti, imporre una quota di lezioni sincrone e imporre che gli esami si svolgano esclusivamente in presenza, sono attualmente allo studio del Ministero. Tuttavia, singoli correttivi, seppure importanti in sé (e per altro già previsti,e disattesi,  come ad esempio l’obbligo degli esami in presenza) non sembrano sufficienti, anche a fronte della mancanza di una riflessione approfondita sull’attuale “modello italiano” di università telematica, che non è l’unico possibile né quello desiderabile. Idealmente bisognerebbe imporre che la proprietà non possa essere di società di capitale, ovvero che anche le università telematiche siano no-profit. Ma visto che ormai vari fondi, anche stranieri, hanno investito è improbabile che si possa fareuna marcia indietro. Una soluzione di compromesso sarebbe quella di tassare adeguatamente i profitti delle società di capitale che gestiscono le università telematiche, anche per contribuire a finanziare le infrastrutture, in specifico le residenze per studenti, ridurre (o eliminare) le tasse universitarie e garantire un “vero” diritto allo studio, e cioè la possibilità per tutt* di accedere a una formazione superiore di qualità.

  • Considerazioni e Proposte in Merito alla Situazione a Gaza

    Considerazioni e Proposte in Merito alla Situazione a Gaza

    In un mondo travagliato da terribili conflitti – tra cui in questo periodo spiccano, per particolare gravità, quelli in corso in Ucraina, Sudan e Myanmar – quanto sta avvenendo a Gaza dall’ottobre 2023 occupa un posto tragicamente a sé stante.


    Un gruppo di soci di Politecnico Futuro ha provato a fornire un contributo alla discussione sul difficile tema della situazione a Gaza.

    Potete leggere il testo completo della mozione.

    La mozione è aperta alle firme di colleghe e colleghi del Politecnico che condividano la posizione.

    Il documento sarà presentato come contributo nella seduta di Senato Accademico del 19 Giugno 2024.